Taormina. Da Ernesto Fichera, riceviamo e pubblichiamo: “Egregio direttore, qualche giorno addietro è apparsa sul Suo giornale una lettera a firma di Alessia, nipote di un uomo, Guido, tragicamente scomparso un mese fa. Alcuni residenti del quartiere hanno sentito l’esigenza di rispondere a quella missiva. Cara Alessia, tu non abiti a Taormina e la frequenti poco e pertanto non conosci a fondo i suoi quartieri e i suoi abitanti. Sei anche giovane e se quindi la morte, intesa come venire meno di una persona, è di per sè una cosa che crea nel quartiere e in una città, soprattutto quando essa è di piccole dimensioni, un vuoto incolmabile, essa lascia nei ragazzi e nei familiari, i più colpiti dal fatto, un vuoto assimilabile più che altro a una perdita incolmabile. Pur tuttavia vanno fatte alcune precisazioni per dovere di cronaca e per dare alle cose il giusto senso. Quando una persona ci lascia, soprattutto a seguito di un gesto drastico, vanno nell’ordine effettuate alcune considerazioni logiche, per non rischiare di cadere in supposizioni che non darebbero il giusto valore a ciò che è avvenuto. Quando viene posto in essere un gesto estremo, spesso non lo si fa solo poiché si è vittime della depressione, ma anche perché probabilmente si è giunti alla conclusione che quello che sino ad oggi si è fatto non è più fattibile, poiché gli eventi della vita sono imprevedibili e non si hanno più ragioni per proseguire lungo questo percorso. È ovvio che in quest’ottica si potrebbe a lungo dibattere sulla opportunità di una siffatta decisione, ma ovviamente le pagine di questo giornale non possono essere la sede per affrontare un argomento così complesso. Da ciò si evince che i motivi che portano a un suicidio possono essere svariati, da una malattia incurabile, alla perdita di un congiunto, ma a volte anche il dovere/volere cambiare casa poiché si arriva a pensare che altrove non si potrebbe proseguire la vita come fatto sino ad oggi: la vita e gli eventi ad essa connessi sono spesso ineluttabili. Di certo le decisioni estreme generalmente non sono frutto di futili motivi. Perché ho fatto questa premessa cara Alessia, perché tuo zio Guido era benvoluto da tutto il quartiere anche se il suo amore sfrenato per i mici a volte portava non poche problematiche. Tu hai citato delle norme a tutela dei felini: potrei rispondere con tutta una serie di articoli posti a tutela della salute e della vivibilità dei cittadini, ma ti ripeto, non è questa la sede per questo tipo di disquisizioni, poiché qualora necessario se ne occupano le competenti sedi giudiziarie. Io volevo con te semplicemente affrontare un aspetto che chiunque con grande serenità deve affrontare quando decide di fare parte di una comunità, creando con ciò che lo circonda un unicum fatto di relazioni umane, convivenza civile e rispetto dei diritti e delle esigenze altrui. Entrando nello specifico, anche oggi che tuo zio non c’è più, come puoi vedere dalla foto allegata, si continuano a sfamare i suoi amati quadrupedi. Ed anche vero che il rispetto degli altri passa per la salvaguardia degli altrui spazi, siano essi giardini, vetture, pertinenze, abitazioni e quant’altro. L’aver fatto presente a tuo zio il fatto che la colonia felina da lui accudita (composta da oltre venti felini) creava problemi in termini di olezzi maleodoranti, deiezioni e cibo lasciato in enormi vasche che rischiavano di attirare l’interesse dei topi non può essere certamente la causa di un suicidio. La causa andrebbe ricercata altrove: forse incomprensioni, dissidi in famiglia, stato di salute o altro. Cara Alessia, noi tutti siamo addolorati per ciò che è avvenuto, però se vogliamo essere obiettivi dobbiamo guardare le cose per quello che sono e certamente tuo zio che ci osserva dall’alto può constatare che i suoi mici, nonostante tutto, sono ancora amorevolmente accuditi. Alcuni abitanti di via Otto Geleng”.
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