Walter Veltroni ha al suo attivo una decina di libri tra cui:“L’inizio del buio”, “Noi”, “La nuova stagione”, “La scoperta dell’alba”, “Senza Patricio”, “Il disco del mondo” tutte piacevoli letture. “L’isola e le rose”, l’ultima sua opera, ha una marcia in più. Tratto da una storia vera accaduta a Rimini negli anni 60 è il romanzo di un’utopia realizzata e vissuta ma contrastata dal potere di allora. L’io narrante è un ragazzo romagnolo di vent’anni, Giovanni, che ama immergersi nell’Adriatico e che in quel mare ogni giorno getta una pietra alla quale ha legato con una corda una busta di plastica con dentro alcune pagine del suo diario. Durante una di queste immersioni, Giovanni trova al largo della costa una borsa frigorifera, contenente un vecchio giradischi, alcuni 45 giri, qualche disegno, un libro di Garcia Marquez, una cartella di documenti, degli strani francobolli e una bandiera con una scritta in esperanto “Insulo de la Rozoj”. La scritta in esperanto incuriosisce il nostro protagonista che si reca alla sede della Federazione Esperantista italiana e incontra Daniela giovanissima insegnante di questa lingua e tramite lei il nonno Andrea, che ha vissuto la storia del contenuto di quella borsa, riemersa dopo tanti anni dai fondali adriatici. Conosciamo così –o ci tornano alla mente racconti che credevamo perduti o appartenere solo alla nostra fantasia – il sogno di Giulio, Alfonso, Giacomo e Lorenzo di costruire una piattaforma nelle acque extraterritoriali di fronte a Rimini, che diventi un’oasi d’accoglienza per giovani artisti, poeti e musicisti. L’idea parte da Giulio che è il manager del gruppo, ma grazie a Giacomo, l’ avvocato, che segue tutti gli aspetti legali e burocratici, Lorenzo, figlio del proprietario del mitico Grand Hotel, che ne diventa l’unico finanziatore e Alfonso, il tuttofare del gruppo, il sogno diventa realtà. Alla riuscita partecipano anche Simone, l’architetto, malato di agorafobia e la sua assistente Elisa. A immortalare ogni singolo momento Scatta il giovanissimo fotografo (scopriremo alla fine che si tratta di Andrea). L’Insulo de la Rozoj, così è chiamata la piattaforma, diventerà presto uno Stato sovrano con una propria costituzione, bandiera, moneta e francobollo, una propria lingua, appunto l’esperanto, e una delle prime radio libere della riviera, che infiammano gli animi e sono parte attiva di quella “rivoluzione”, che avviene nel 68. Luogo d’incontro tra giovani creativi, l’isola scatena però anche interessi economici d’investitori internazionali e sospetti da parte dei servizi segreti dello Stato. E’ così che il 3 ottobre del 1968 la piattaforma al largo di Rimini, lo Stato libero, l’isola dell’utopia, il punto d’incontro di giovani artisti viene fatta esplodere. Veltroni nel suo romanzo, pur rielaborando e romanzando la vicenda, conserva appieno l’inquadramento storico e con la tecnica del flashback ci narra una storia dove gli ideali di giustizia e uguaglianza sociale sono i veri protagonisti. Questo è un romanzo che ti riscalda il cuore e ti fa ritornare la voglia di sognare, d’altronde cos’è la vita senza un’utopia?
Milena Privitera