“Mico è tornato coi baffi” opera prima di Massimiliano Scuriatti, edizione Bietti, è un romanzo breve ambientato in Sicilia nel 1915. Il giovane autore siciliano trapiantato a Milano lo dedica alla madre Francesca e al padre Arcangelo. All’alba della Grande Guerra, Mico, il protagonista, sta per raggiungere di corsa la stazione dei treni con la valigia di cartone legata con i “lazzi”. Deve lasciare il piccolo villaggio di mare in cui è nato e cresciuto, per intraprendere il lungo viaggio che lo condurrà al fronte. Molti altri giovani del suo paese subiscono la stessa sorte. Con lui, lungo la strada, il compagno di sempre, (l’io narrante di cui non sapremo mai il nome), un giovane disabile, salvato dalla sua infermità dall’arruolamento forzato. La storia racconta appunto dell’amicizia fra i due, interrotta dalla guerra, che proprio perché guerra è l’antitesi di ogni rapporto umano. Scuriatti scrive un libro struggente, un libro che denuncia l’assurdità di ogni guerra, reso autentico dalle parole “intraducibili” in dialetto stretto della sua Terra (l’autore fornisce il lettore di un dizionario dei termini in siciliano alla fine del libro). La guerra, il fronte, i suoi orrori, l’atmosfera delle trincee sono narrati attraverso le lettere che i due co-protagonisti si scambiano, dopo la partenza di Mico. Mico è analfabeta ed è un suo compagno d’armi, Antonino, ad aiutarlo nella corrispondenza con l’amico rimasto al paese che, invece, sa leggere e scrivere, sebbene in un italiano semplice, infarcito di qualche errore, e contaminato da parole dialettali, proprio come sarebbe stato per un ragazzo del sud di cento anni fa. Lo scambio epistolare fra i due ragazzi fa sì che il protagonista segua le vicende del conflitto a distanza, dal suo particolare punto di vista. Il romanzo di Scuriatti non denuncia solo l’irrazionalità delle guerre ma anche la condizione dei “diversi” quando si è ammalati, come il protagonista del romanzo, prima sano e poi invalido a causa della poliomelite, la visione delle cose cambia. L’essere escluso da ciò che per altri è normale, acuisce il suo senso di separatezza a tal punto che desidera di non avere solo le gambe ma anche tutto il corpo di legno proprio come Pinocchio. Così quando Mico torna coi baffi, segno simbolico del cambiamento che è avvenuto durante la sua assenza, ancora di più il protagonista sente la consapevolezza della propria estraneità al cambiamento che travolge tutti. Il romanzo ha un sub-plot interessante che mette in luce alcune caratteristiche tipiche della Sicilia: la povertà, l’emigrazione in massa verso l’America, l’atavica questione meridionale, il fatalismo e l’orgoglio proprio dei siciliani.
Milena Privitera