
Taormina. “Prosegue il percorso di valorizzazione storico-artistica e demo-ento-antropologica del Museo di Casa Cuseni, a Taormina”: a dichiararlo è il direttore Franco Spadaro.
“Inaugurata la tanto attesa fototeca storica. Vista la continua richiesta scientifica di consultazione del materiale fotografico di proprietà di Casa Cuseni – spiega – il Museo ha messo a disposizione del pubblico lo storico archivio fotografico della Villa. La fototeca è stata attrezzata con gli iconici computer della Apple, divano e poltrone di Giò Ponti, lampade di Carlo Scarpa e di Luciano Frigerio, sedie dei Fratelli Potestà di Chiavari e custodisce i materiali fotografici prodotti da Robert Hawthorn Kitson e Wilhelm Von Gloeden. Disponibile anche un ufficio immagini e diritti, che si occuperà di riprodurre il materiale richiesto. La fototeca offrirà costante supporto ai curatori dei giardini storici ma anche agli appassionati del Grand Tour inglese in Sicilia e in Terra d’Oriente. Le fotografie saranno di grande aiuto anche per i restauratori e gli studenti che sovente le richiedono per ragioni scientifiche e didattiche. Numerosi negativi e stampe all’albumina, ritraenti le varie fasi di costruzioni della casa e del Giardino storico della Villa, le antiche coltivazioni, il lavoro femminile e minorile ma anche vedute, paesaggi, città, palazzi, chiese e monumenti in Italia, in Egitto, In Marocco, Tunisia e in India; tante le apparecchiature fotografiche che testimoniano l’evoluzione della fotografia e dei suoi procedimenti dalla fine dell’Ottocento (autocromie, carte salate, albumine, stampe al carbone e alla gelatina) fino agli anni Trenta del Novecento. Un percorso iconografico che documenta le bellezze naturali e artistiche di Taormina. Della Sicilia, dell’Italia, del Nord Africa e dell’India, la storia architettonica e industriale, i mutamenti urbani e rurali, le evoluzioni e le trasformazioni sociali, realtà talvolta non più esistenti, che vengono storicizzate all’interno di un contesto museologico e museografico”.
CARTA DEL RISCHIO DEL PARCO TEOSOFICO DI VILLA CUSENI
Premessa generale
La Carta del Rischio del Patrimonio culturale museale (‘CDR Museo di Taormina), permette una particolare modalità di applicazione delle indagini scientifiche, del controllo microclimatico ambientale e delle prove non distruttive, per la conservazione programmata dei beni culturali di nostra proprietà utilizzando un concetto di restauro ‘preventivo’, già elaborato da Cesare Brandi e da Giovanni Urbani che elaborò il primo progetto italiano per la conservazione programmata dei beni culturali. Il rischio di perdita del patrimonio culturale di nostra proprietà è stato assunto come prima priorità operativa della nostra Fondazione che nasce già con questo scopo.
Come noto, la Carta del Rischio del Patrimonio Culturale, elaborata e realizzata negli anni ’90 dall’Istituto Centrale per il Restauro, ha rappresentato un’esperienza innovativa, senza precedenti, che ha concretizzato il concetto di “restauro preventivo” formulato da Cesare Brandi già alla metà del secolo scorso. Adottare la filosofia della prevenzione anche nel campo dei beni culturali risponde ad un duplice presupposto. Innanzitutto, danni e perdite nel settore delle opere d’arte e dei monumenti sono quasi sempre fenomeni irreparabili; e poi, come ormai comunemente affermato, gli interventi più leggeri, di manutenzione e riparazione preventiva, sono sicuramente più compatibili e meno snaturanti delle operazioni di restauro vere e proprie, oltre ad essere economicamente meno onerosi.
Il progetto Carta del Rischio, quindi, si pose come obiettivo quello di definire un sistema atto ad individuare rapidamente, nell’ambito dell’esteso patrimonio italiano, quali sono i beni più esposti a rischio di logoramento e/o perdita, al fine di programmare, appunto, in modo oggettivo, gli interventi da effettuare con maggiore urgenza. Tutto ciò si è concretizzato nella realizzazione di un sistema di banche dati capace di raccogliere, elaborare e gestire informazioni e dati relativi all’intero patrimonio nazionale monumentale, ai fenomeni fisico-chimici e sociali che intervengono sul processo di degrado dei beni, nonché informazioni sullo stato di conservazione di questi ultimi. Con il contributo della statistica vengono stabilite delle correlazioni tra le diverse informazioni tematiche, che portano ad individuare i rapporti esistenti tra il patrimonio culturale, il suo stato di conservazione e i fattori che ne provocano il deperimento.
Il rischio infatti, inteso come possibilità che un evento indesiderato provochi danno ad un qualcosa cui attribuiamo valore di bene culturale, viene considerato funzione di due differenti grandezze, la pericolosità cioè la presenza o probabilità che si verifichino eventi dannosi, e la vulnerabilità, intesa come attitudine del bene ad essere danneggiato. Uno degli assunti di base della Carta del Rischio consiste appunto nella possibilità di pervenire a misurazione di ciascun aspetto del rischio, compresa la vulnerabilità. La vulnerabilità di un bene si manifesta concretamente nel suo stato di conservazione: è quindi una dimensione misurabile attraverso i vari aspetti del degrado. Più un bene è deperito, più esso è vulnerabile all’aggressione dell’ambiente circostante. Nella Carta del Rischio la vulnerabilità viene calcolata statisticamente su un numero consistente di variabili che descrivono appunto le condizioni conservative del bene.
L’acquisizione delle informazioni sulla vulnerabilità dei beni archeologici ed architettonici di Villa Cuseni è stata realizzata attraverso un imponente lavoro di fotografia, studio, schedatura con valutazione metrica dei singoli elementi del Monumento (fondazioni, elevato, strutture di orizzontamento/solai, scale e collegamenti verticali, coperture, pavimenti, rivestimenti), posizionato in piattaforma online nel 2005. Di seguito il link che mostra l’attuale http://fondazionecasacuseni.org e il link che rappresenta il precedente punto di partenza del progetto restauro del 2005, http://stonebarrow.org.uk/WWWCC/domenicopics/gallery/select/plan.html, che stimava l’estensione e la gravità delle differenti forme di degrado che si sono riscontrate che finalizzava in un primo progetto di recupero a cura dell’architetto Minchilli Domenico.
Il Progetto prevedeva un primo livello di analisi, scheda sintetica, i cui dati sono stati utilizzati per il calcolo dell’indice di vulnerabilità, ed un secondo livello di approfondimento con un’analisi di maggior dettaglio per stimare le priorità di intervento con mappatura delle alterazioni riscontrate.
Fin dalle prime fasi di elaborazione della Carta del Rischio del nostro Monumento si riconobbe la necessità di adattare le schede sulle esigenze dettate dalla specificità che connota il nostro complesso monumentale. L’interpretazione del Monumento, teosofico, caratterizzato da un non uso a questo scopo per quasi un secolo, ha portato al sovraffollamento di piante che hanno alterato l’aspetto iniziale del sito e che hanno richiesto un’attività conoscitiva mirata per il costruito storico. I manufatti presenti hanno mantenuto la stessa configurazione originale ma avevano perduto gli strati di finitura per l’azione dei normali fattori climatici, quali la pioggia, il vento e le variazioni di temperatura e umidità. La nostra scheda di valutazione ha analizzato ogni singolo elemento costruttivo e decorativo, rapportando i danni riscontrati alle tecniche e ai materiali che lo costituiscono assumendo un significato ed una valenza diversa a seconda del materiale interessato e del modo in cui questo è messo in opera nelle strutture; è evidente, ad esempio, come una lesione obliqua riscontrata su una struttura a blocchi di marmo o su un muro reticolato in tufo possa risultare di diversa gravità. Le caratteristiche meccaniche, la forma, le dimensioni e l’apparecchiatura del materiale in opera costituiscono quindi ulteriori elementi di valutazione nell’analisi della vulnerabilità. Per rispondere alla unità logica e lessicale richiesta da un sistema informativo, come è quello della Carta del Rischio, ci siamo uniformati alla Carta del Rischio del MIC (forme di alterazione, i materiali, le tecniche).
La scheda per il calcolo di vulnerabilità raccoglie informazioni anche su altri aspetti particolari. L’esperienza ha mostrato infatti come, in molti casi, la possibilità di conservazione del manufatto non sia in funzione delle sole condizioni delle caratteristiche fisiche dei materiali costitutivi, ma sia determinata anche dalla presenza di fattori diversi, estrinseci sì alla fisicità propria del bene, ma che hanno un diretto riscontro sul suo possibile deperimento. In altri termini il giudizio sullo stato di conservazione di un monumento archeologico, oltre a basarsi sulla semeiotica dei danni tradizionali, deve anche verificare:
– la presenza, l’efficacia, l’adeguatezza e la manutenzione dei manufatti architettonici di protezione;
– l’esistenza e l’efficacia dei sistemi di deflusso e smaltimento delle acque meteoriche;
– la presenza, l’efficacia e l’adeguatezza delle misure di protezione parziali o stagionali (come ad es. le impermeabilizzazioni dei colmi murari o le coperture dei rivestimenti pavimentali durante l’autunno e l’inverno);
– l’esistenza di un programma di manutenzione ordinaria e di diserbo;
– la presenza e l’efficienza di dispositivi di sicurezza e sorveglianza (quali la guardiania, le recinzioni, ecc.),
– la compatibilità degli eventuali usi delle strutture antiche.
La vulnerabilità del bene archeologico è rappresentata da un indice globale espresso da un numero crescente da 0 a 10 dove all’aumentare dell’indice corrisponde una sempre maggiore vulnerabilità
Il modello per il calcolo è stato impostato considerando ciascun bene archeologico/architettonico analizzato come un’unità statistica “completa” indipendentemente dal numero e dal tipo degli elementi che lo costituiscono.
Per il calcolo dell’indicatore di vulnerabilità si utilizza un approccio di tipo statistico:
– descrittivo, in funzione del quale ciascuna informazione considerata viene ricondotta ad un numero limitato di categorie ordinabili secondo una scala di valore crescente 10.
Sulla base degli studi e delle ultime applicazioni, le informazioni elaborate sono quelle derivanti dall’analisi dei sette elementi costitutivi e decorativi prestabiliti, implementate assumendo, come parametri aggiuntivi, le seguenti categorie:
– uso,
– manutenzione,
– sistemi di sicurezza,
– impianti sistema deflusso acque,
– impianti sistema smaltimento acque/idrovore,
– coperture di protezione.
L’insieme dei parametri descritti contribuisce al calcolo dell’indice di vulnerabilità, ma ciascuna informazione interviene in misura diversa, sulla base di un apposito sistema di “pesi” stabilito dagli esperti dell’ICR.
Nell’impostazione attuale, allo stato di conservazione degli elementi costitutivi viene assegnato un peso maggiore (6) rispetto alle altre variabili considerate (uso, manutenzione, sistemi di protezione, impianti). Però anche tra queste esistono delle differenze che hanno portato ad una gerarchizzazione dei pesi. Nel nostro Giardino non sono state previste strutture architettoniche di protezione in relazione all’edificio antico ma solo una leggera copertura per una pregevole fontana, realizzata nel 1931 dall’artista italiano Duilio Cambellotti.
Le informazioni così raccolte vengono opportunamente rielaborate e valutate secondo specifiche relazioni qualitative, impostate sulla base dell’esperienza nel settore della conservazione del patrimonio archeologico/architettonico con l’ausilio di metodologie statistiche.
Gli indicatori di efficienza tecnico – costruttiva e di adeguatezza al bene, così come i relativi indicatori di attendibilità, vengono poi opportunamente sintetizzati per generare un indicatore unico relativo allo stato complessivo della copertura del bene archeologico.
La procedura utilizzata genera indicatori interpretabili su una scala di valori che vanno da 0 a 10 dove in senso crescente andrà letta una maggiore vulnerabilità del bene archeologico ed una minore efficienza tecnico – costruttiva e/o minore adeguatezza al bene della copertura di protezione Conclusioni
Abbiamo applicato già da molto tempo le indicazioni dell’’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) che ha avviato già da alcuni anni diverse linee di ricerca nel campo della conservazione delle aree archeologiche, sia sperimentando metodi e materiali per il consolidamento in situ e la conservazione dei manufatti e delle strutture, sia avviando uno studio sistematico per la realizzazione di strutture di protezione di aree archeologiche.
La scelta irrinunciabile di conservare nel loro contesto originario anche i manufatti più fragili, quali i rivestimenti pavimentali e parietali, nonché l’opportunità di esporre alla fruizione delicate stratigrafie o manufatti in argilla cruda, hanno favorito in questi ultimi anni la ricerca di soluzioni differenziate, in cui gli interventi di restauro non sono che uno dei mezzi finalizzati alla conservazione dei resti archeologici. Appare chiaro, infatti, che soltanto dalla integrazione di strategie di conservazione attiva e passiva possono giungere risultati durevoli. Ciò si riferisce, ad esempio, all’attuazione di operazioni di pronto intervento, ad attività di manutenzione periodica, alla progettazione di percorsi di visita che tengano conto della fragilità materica dei manufatti archeologici, alla progettazione di sistemi di protezione stagionale e di coperture architettoniche che assicurino sia la conservazione che la fruizione dei resti antichi, per nostra scelta non applicabili nel Monumento di Casa Cuseni, per non alterare lo studio spaziale e figurativo del nostro Monumento.